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I Millennials? Superati. Il marketing guarda alla Generazione Z




Sono passati pochissimi anni da quando l’universo del marketing è stato travolto - e non senza conseguenze - dalla caotica avanzata dei Millennials. Disillusi, legati alle nuove tecnologie, poco interessati a stili di vita o di consumo consolidati e, fatto non da poco, prima generazione dal Dopoguerra con una capacità di spesa inferiore a quella dei loro genitori.
Ma proprio quando gli esperti di comunicazione pensavano di averli compresi, questi giovani sono stati superati sulla destra dalla generazione successiva. Ovvero la Generazione Z, quella dei cosiddetti Zoomer: una delle sfide più ardue per chi deve promuovere un prodotto o un servizio.

Ma quali sono le caratteristiche di questa generazione e, soprattutto, i Millennials sono davvero superati?

Tra Millennial e Gen Z: la confusione regna sovrana
 
Non si può dire che, almeno negli ultimi tempi, non si sia fatta una grande confusione tra Millennial e Gen Z.
D’altronde, i media generalisti non hanno aiutato. La stampa tricolore, ad esempio, tende a chiamare Millennial qualsiasi adolescente, ignorando come gli stessi Millennials abbiano oggi abbondantemente raggiunto la soglia dei 30 anni. E, nonostante le due generazioni abbiano di certo dei punti di sovrapposizione, i loro stili di consumo e acquisto rimangono ben diversi.

Per Millennials - ovvero la Generazione Y - si intendono prevalentemente i nati alla fine del XX secolo. Sebbene ogni studioso indichi delle date diverse, per comodità si prende in considerazione il periodo tra il 1980 e il 2000: si tratta quindi della “generazione del Millennio”.
Sin da piccoli immersi nella cultura pop e nei mass media, tanto da essere definiti la “MTV Generation”, hanno dovuto velocemente rinunciare a un’infanzia fatta di ogni comfort per affrontare un’età adulta complessa. Oltre al crollo delle Torri Gemelle nel 2001 - quando i primi Millennials si affacciavano timidi al mondo del lavoro -  su di loro è fortemente pesata la crisi del 2008, la riforma del sistema pensionistico e la svalutazione degli stipendi. Questo li ha portati a essere sempre più disillusi dal mondo del lavoro, a preferire il raggiungimento di obiettivi personali più che professionali, mettendo al centro la loro identità. Per questo vennero impropriamente chiamati la “Me Me Me Generation” e accusati di ogni dissoluzione dello status quo, dall’eccesso di egoismo allo scarso interesse per l’acquisto di immobili, automobili e altri beni di lusso. Oggi sono degli over 30 con un potere d’acquisto decisamente ridotto rispetto ai genitori, anche perché spesso costretti dal mercato a lavori precari. E sono soliti soppesare i loro acquisti non solo a livello di disponibilità economica, ma anche di sostenibilità ambientale e rispetto dei diritti umani

Gli Zoomer - cioè la Generazione Z - sono invece nati indicativamente tra il 2000 e il 2012. Da poco apparsi sul mercato globale - poiché i primi Gen Z entrano ora nell’universo lavorativo - hanno scardinato nuovamente il marketing.
Nativi digitali - ovvero venuti al mondo dopo la diffusione globale di Internet - sono estremamente attenti alla comunicazione virtuale, ai nuovi trend sul fronte della tecnologia, alla tutela dell’ambiente e al politically correct. Sul fronte dei consumi, non tendono a rincorrere lo status quo rappresentato da un marchio di culto, bensì seguono i trend dei pari con cui interagiscono sui social. Abbastanza disinteressati alla politica classica, preferiscono dedicarsi ai grandi temi che affliggono il mondo, primo fra tutti la lotta ai cambiamenti climatici. Sempre alla ricerca della maggiore viralità possibile, sono più interessati a occupazioni nel settore delle comunicazioni, delle arti e della ricerca scientifica. Al momento è presto per dire se i Gen Z subiranno la stessa sorte dei Millennial, con stipendi inferiori dei genitori, anche se il mercato non sembra lasciare intravedere all’orizzonte grandi compensi.

Gen Z e marketing: si riparte da zero
 
Se i Millennials hanno dato filo da torcere al marketing, i Gen Z ne potrebbero decretare il decesso. Almeno per come lo si conosce fino a oggi, poiché questa generazione non risulta affatto interessata ai metodi di comunicazione, ingaggio e consumo tipici delle precedenti. Il marketing deve qui ripartire da zero, trovando una nuova identità.
 
  • Addio TV: sono ormai lontani i tempi della supremazia della TV per la predisposizione di campagne efficaci. Qualche anno fa bastava piazzare un prodotto nella fascia oraria giusta, magari all’interno di un programma di culto, per trasformarlo in un vero e proprio oggetto del desiderio. Così non è con la Generazione Z. Non solo non fruiscono più del servizio televisivo classico, preferendo contenuti in streaming, ma durante i blocchi pubblicitari non prestano minimamente attenzione al televisore: in quei pochi minuti preferiranno intrattenersi con i loro smartphone, magari guardando una Storia su Instagram o un video su TikTok;
  • Brand Reputation: poiché molto attenti ai temi sociali, umani e ambientali, i Gen Z non si lasciano facilmente ammaliare da una comunicazione di marketing vigorosa. Più che al messaggio relativo al prodotto, i giovanissimi si concentrano sull’identità del marchio. Difficilmente un servizio diventerà ambito se, nonostante la bontà, l’azienda che lo offre non gode di un’ottima Brand Reputation. Il marketing deve quindi investire più sulla comunicazione sulla responsabilità e la correttezza del marchio, che sul prodotto in sé;
  • Influencer e YouTuber: è molto più probabile che uno Zoomer si faccia orientare nelle sue scelte d’acquisto più da un coetaneo che da una comunicazione patinata, meglio ancora se è una persona avvezza alle piattaforme social. Oggi un influencer potrebbe raccogliere molto più seguito di un classico advertising sulla stampa e in TV, con una semplice condivisione su Instagram. Per non parlare degli YouTuber, i veri propri leader della comunicazione Gen Z, capaci di alimentare un enorme giro di denaro sulla piattaforma targata Google;
  • Testing: non sarà sufficiente la fotografia di un’automobile per convincere un Gen Z all’acquisto. Questa generazione non è infatti molto propensa a lasciarsi convincere da una comunicazione pubblicitaria, vuole piuttosto saggiare sul campo l’affidabilità di quanto sponsorizzato. Meglio allora investire in lunghe fasi di testing, con l’inoltro di prodotti e servizi ai potenziali clienti, perchè il giovane ne faccia poi menzione sui suoi canali social;
  • “Sex won’t sell”: a differenza della gran parte delle generazioni precedenti, i Gen Z sono scarsamente interessati - per non dire infastiditi - da una comunicazione di marketing che stringa l’occhiolino alla sensualità spicciola, al nudo o qualsiasi altra connotazione sessuale. Il linguaggio dovrà sempre sposare il politically correct, il ruolo della donna non dovrà essere svilito, si dovrà portare rispetto per tutte le etnie e gli orientamenti sessuali. D’altronde, si tratta di una generazione “fluida”, che non vive i rapporti secondo tradizione bensì così espressione di bisogni emotivi, indipendentemente dal genere, dall’orientamento sessuale e dell’identità auto-percepita.
 
Ma i Millennials sono davvero scomparsi?
 
I Millennials hanno raggiunto ormai abbondantemente l’età adulta, ma questo non significa che siano invisibili al marketing. Considerando come siano stati costretti ad attendere la soglia dei 40 anni per vedere accrescere - pur di poco - la loro capacità d’acquisto, potrebbe essere ora il momento più idoneo per investire in campagne mirate.
 
Pur non avendo accesso a fondi illimitati, si lanceranno ora nell’acquisto di beni e servizi, scelta che, solo 10 anni fa, non avrebbero mai potuto affrontare economicamente. Mobilità sostenibile, energie rinnovabili, alimentazione biologica e viaggi: sono questi gli ambiti dove i tanto vituperati Millennials potrebbero garantire ottimi riscontri. Senza dimenticare l’effetto nostalgia: d’altronde, rimane pur sempre la generazione cresciuta durante gli anni ‘80 e ‘90.