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Brand Safety e Brand Reputation: una nuova sfida per il marketing



È innegabile: i social media sono diventati degli strumenti pervasivi nella vita delle persone, con miliardi di utenti in tutto il mondo pronti a condividere pareri, commenti e contenuti multimediali sulle loro esistenze. Se da un lato il cosiddetto user generated content - ovvero i materiali prodotti direttamente dagli utilizzatori finali - ha dato nuovo slancio creativo alla Rete, dall’altro rappresenta un rischio non da poco per le aziende. Soprattutto in fatto di Brand Safety e Brand Reputation: oggi è sufficiente uno scivolone social per compromettere definitivamente il proprio business. 
La motivazione è presto detta: un utente insoddisfatto da un prodotto o un servizio non deve far altro che armarsi di smartphone ed esprimere il proprio disappunto. Nella speranza che diventi virale, trascinando con sé migliaia di altre persone. Cosa quindi può fare il marketer?
 
Brand Safety e Brand Reputation, cosa sono 
 
La Brand Safety e la Brand Reputation non sono concetti nuovi nell’universo delle aziende, tuttavia negli ultimi anni sono stati sottoposti a una completa revisione, data la nuova libertà espressiva concessa agli utenti grazie alle piattaforme social.
Per Brand Safety - letteralmente “la sicurezza del brand” - si intendono tutte quelle attività volte non solo a valorizzare il marchio, ma anche a garantire l’eliminazione di tutti quegli elementi che potrebbero essere mal interpretati dagli utenti finali. Una campagna pubblicitaria ambigua, magari facilmente fraintendibile in materia di temi sociali, può infatti trasformarsi in un boomerang per l’azienda.
La Brand Reputation, ovvero la “reputazione del marchio”, è invece quell’insieme di attività che assicurano che il brand venga recepito correttamente dai clienti, affinché venga percepito per i suoi valori positivi anziché per i difetti. La Brand Reputation è tanto più alta quanto la compagnia riesce a soddisfare le aspettative dei suoi consumatori. 
 
I rischi dei social network
Così come già accennato, i social rappresentano una lama a doppio taglio per l’universo delle aziende. Da un lato sono un ottimo veicolo di promozione, dall’altro si costituiscono come una nuova e pericolosa minaccia. 
 
L’utente può infatti affidare il proprio malcontento a queste piattaforme, ad esempio dopo un acquisto che si è rivelato inferiore alle proprie aspettative, per un guasto improvviso al prodotto ricevuto, per un’assistenza non considerata all’altezza. In altre parole, in pochi secondi l’utilizzatore finale può pubblicare una recensione negativa, sconsigliare l’acquisto dei medesimi prodotti e servizi ai propri contatti, intervenire sui profili social aziendali nel tentativo di ridicolizzare il brand.
Si tratta di contenuti che solitamente generano grande attenzione e curiosità da parte degli altri navigatori, poiché tutti sono naturalmente portati a dare maggiore rilevanza alle opinioni negative anziché a quelle positive, soprattutto se si sta valutando l’acquisto del medesimo prodotto. E nei casi più gravi si tratta di una manifestazione virtuale di malcontento che può assumere contorni coloriti, ad esempio con la pubblicazione di meme virali, ma anche di video di “denuncia” sui servizi di videosharing e affini. 
 
A volte queste proteste virtuali non nascono nemmeno per l’esperienza diretta del cliente, bensì per errori comunicativi dello stesso brand. Una campagna social che inconsapevolmente denigra una certa categoria di clienti - il classico esempio è il marchio moda che enfatizza troppo la magrezza delle proprie modelle - avrà una eco negativa anche fra coloro che non sono effettivi acquirenti del marchio, ma tuttavia offesi poiché si sono violati valori e credenze, sia personali che sociali.
 
Cosa può fare il marketer 
Per la tipica natura delle piattaforme social, purtroppo il rischio zero di non imbattersi in qualche intoppo virtuale non esiste. Vi sarà sempre un utente che, nonostante la qualità dei prodotti e dei servizi proposti, esprimerà opinioni a dir poco negative. Ma questo non vuol dire che non si possa intervenire, soprattutto con alcune strategie preventive. 
Il primo passo per la “salvezza” dell’azienda è quello di monitorare in modo certosino ciò che il brand vorrebbe comunicare, in relazione alle effettive emozioni suscitate nel pubblico. Per farlo, può essere utile: 
 
  • mostrare, anche al di fuori di specifiche campagne pubblicitarie, i valori positivi che esprime il brand, evidenziano tutti quegli ambiti che maggiormente si allineano alle credenze dei navigatori. Il marchio dovrà apparire moderno, inclusivo, attento a evitare forme di discriminazione anche involontarie; 
  • intervenire tempestivamente, anche con un’azione di concerto tra il marketing e il team social, per arginare dei veri e propri focolai di protesta, che potrebbero addirittura danneggiare la società. 
 
Più esteso - e forse più complesso, è il discorso sulla Brand Reputation. Anche in periodi piatti dal punto di vista delle sponsorizzazioni online, i marketer dovranno elaborare una comunicazione che risulti accomodante e comprensibile, “amica” del target che si vorrà raggiungere, aggiustando la propria comunicazione man mano che le campagne avanzano nel tempo.
In altre parole, va costruita una vera e propria immagine del brand specifica per i social network. Serve quindi: 
 
  • analizzare a fondo il comportamento del target scelto prima di avviare la campagna, per evidenziare potenziali problematiche magari sfuggite in fase di prenotazione; 
  • porre l’accento sugli impegni positivi del marchio, anche in relazione a temi sociali e ambientali; 
  • Offrire un servizio di assistenza social veloce ed efficace, affinché le lamentele pubbliche del singolo utente vengano gestite prima che diventino virali, magari con una risposta diretta in pubblico per risolvere poi la questione in privato. Questo rimanderà agli altri visitatori di passaggio l’idea di un brand attento ai propri clienti, pronto a mettersi in discussione dinanzi alle difficoltà. 
 
Infine, i marketer dovranno essere sufficientemente scaltri per riconoscere un utente davvero deluso da uno invece giunto solo per il piacere di provocare, un cosiddetto “troll”. In quel caso è meglio ignorare le accuse avanzate, perché una reazione dal brand - magari con una risposta pubblica - è proprio ciò che il troll vuole.